Sull’ultimo numero di Seicorde è stata pubblicata una mia composizione. Si tratta di uno dei “Cinque Fumetti per Chitarra” dedicati a Giovanni Martinelli. Il brano è ispirato al Poema a Fumetti di Dino Buzzati. Mi auguro davvero che possa incontrare il favore di quanti avranno occasione di leggerlo!

“Poema di Eura” è un brano che fa parte di una suite di cinque “fumetti” per chitarra dedicati al talentuoso concertista Giovanni Martinelli. L’idea di desumere delle brevi composizioni dalla lettura di romanzi grafici (mi si passi l’espressione imprecisa, ma la critica non ha ancora trovato un accordo sul termine più consono per indicare il genere fumettistico colto) mi è venuta discutendo con il dedicatario e constatando come fosse possibile tradurre, in alcuni casi con estrema precisione, una percezione estetica in una struttura musicale. Nel caso in questione, “Poema di Eura” si rifà al “Poema a Fumetti” di Buzzati, opera di difficile catalogazione apparsa nel 1969, malgrado le reticenze dell’autore che avrebbe desiderato fosse data alle stampe postuma. Si tratta di una rivisitazione postmoderna del mito di Orfeo ed Euridice, ribattezzati qui Orfi ed Eura, che sembra un racconto destinato ad inaugurare nuovi generi, se si pensa che il “recitar cantando” fece la sua prima apparizione in Italia con l’”Euridice” di Peri e Caccini nel 1600, dando il primo impulso a quella che sarebbe divenuta poi l’opera lirica. L’incipit percussivo del brano costituisce un riferimento preciso alla tavola in cui Orfi, giunto sulle soglie dell’Ade, “si mise a cantare una canzone che comincia con
TOC TOC”. La lira del mito diviene in Buzzati una chitarra, strumento dal carattere evocativo per antonomasia, simbolo ideale della soglia stessa della trascendenza, a cui bussare per attingere in limine una verità oracolare. La composizione alterna momenti di interrogazione percussiva a brevi frammenti costruiti sul terzo modo a trasposizione limitata di Messiaen. L’intento è stato quello di ricercare l’aspetto più elusivo dello strumento, il suono fragilissimo che ci giunge da quell’aldilà da cui proviene la musica e che Bach credeva fermamente di raggiungere morendo; quella voce della chitarra che è spesso fraintesa, distorta, banalizzata; creduta, fino in fondo, da pochissimi.